ALIANO '35
di Francesco Petti
liberamente tratto da “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi
con
Emilio Barone Alessandra Chieli Francesco Petti
musiche a cura di
Michela Coppola
scene
Domenico Latronico
regia
Francesco Petti
“In questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli”. C.L.
liberamente tratto da “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi
con
Emilio Barone Alessandra Chieli Francesco Petti
musiche a cura di
Michela Coppola
scene
Domenico Latronico
regia
Francesco Petti
“In questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli”. C.L.
“Cristo si è fermato a Eboli” è un libro fondamentale della letteratura italiana del Novecento. Scritto nel ’44 nel chiuso di una stanza in una Firenze stretta nella morsa tra i Tedeschi in ritirata e gli Alleati, uscito nel ’45, si distingue dai testi a lui contemporanei (per lo più letteratura della Resistenza o scritti sulla guerra) per l’ambientazione meridionale, lontana, quasi esotica. È la storia autobiografica di Carlo Levi, confinato per motivi politici nel profondo sud. Intellettuale, artista, medico, Levi si ritrova isolato in una terra fuori dal tempo, distante da tutto ciò che egli, cittadino e settentrionale, ha conosciuto e frequentato. Quel che ne nasce è il confronto tra due civiltà che, guardandosi con curiosità e umanità, riescono a dialogare e a interagire, fino a creare un rapporto di stima e affetto reciproci. L’atteggiamento di Levi non è dunque quello di chi si ritiene portatore di una cultura superiore, ma quello di un osservatore comprensivo, lucido, obiettivo. Certo, un libro sulla questione meridionale, ma questo annoso e complesso problema non viene affrontato qui cercando di capire come civilizzare un pezzo d’Italia indubbiamente diverso e marginale, che vive nella miseria e nell’abbandono. Piuttosto, il problema è di capirla quella civiltà, scoprirla, e metterne in luce l’essenza per valorizzarla. E di capire quanto sia stata sfruttata, depredata, incompresa. Da questo punto di vista, allora, la testimonianza di Levi è molto attuale, in un mondo in cui le civiltà preferiscono confliggere invece che dialogare, e ognuna di loro si ritiene portatrice di una superiorità culturale che necessariamente si traduce in violenza o, bene che vada, in un’ostile indifferenza verso il diverso.
In “Aliano ‘35” ci troviamo nello studio romano di Carlo Levi, tra cavalletti e quadri, fogli e pennelli. Siamo all’antivigilia di Natale del 1974, giorno in cui Levi entrerà in coma per poi morire il 4 gennaio. È in questo limbo tra la vita e la morte che allo scrittore appaiono i vari personaggi da lui incontrati ad Aliano quarant’anni prima. Ecco Mario, il becchino-banditore-incantatore di lupi, ecco il podestà Magalone, i contadini, e Giulia, la donna di servizio, la strega. Come fantasmi del passato, essi appaiono, scompaiono, dialogano con Levi e gli fanno tornare alla memoria episodi e situazioni del suo anno da confinato, il ’35. Lo rimproverano di essersene andato, di non essere tornato. E così, loro che sono ormai morti, ne sono venuti a reclamare la presenza, sono venuti a chiamarlo, per farlo restare con loro, stavolta per sempre.
Uno spettacolo su un incontro di civiltà, dunque, in un momento in cui si sente parlare tanto di scontro di civiltà. Ma anche uno spettacolo sulla riscoperta delle nostre radici di popolo più profonde, ancestrali, italiche. Quelle di “quell’umile Italia (…) per cui morì la vergine Camilla”, quelle popolari, contadine, legate agli elementi primordiali della natura. Un’indagine sociologica e antropologica del nostro popolo, una recherche du temps perdu. Insieme alla riflessione più filosofica, storica e sociale di Levi, lo spettacolo, per alleggerirsi e poter meglio comunicare ad un pubblico giovane, mostra anche gli aspetti più grotteschi e divertenti di una storia di dolore e di riflessione che continua a parlarci di noi.